Schizofrenia – parte seconda

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Autore del quadro: Giuliano

Mi ero giurato che da quel momento avrei fatto con solo le mie forze, in quel momento ne avevo davvero poche. Giurai altresì che i miei genitori venivano prima di me, come è naturale che sia, e io non sarei più entrato in conflitto con loro. Al Colombarone non erano soliti trattare con doppie diagnosi, è un centro diurno che si occupa di riabilitare vissuti di tossicodipendenza e abusi d’alcol. Dopo un colloquio preventivo il dottor S. decise insieme a D. di darmi una possibilità. Fin dal colloquio preliminare pensai che quella era la soluzione migliore, forse l’unica, visto che rifiutavo le comunità classiche. Il Colombarone era strutturato con un programma della durata di un anno più o meno suddiviso in blocchi di quattro mesi in quattro mesi. Si arrivava alla mattina alle otto e si andava a casa alle cinque. Questo per tutti gli altri ospiti; io dopo le cinque ero accompagnato alla residenza del CSM (Centro di Salute Mentale), dove all’epoca alloggiavo.
Dopo il primo colloquio al SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) ne ebbi un altro presso il Colombarone con un paio di educatori che mi convinsero sulla validità del progetto. D. pose come vincolo non sindacabile che io prendessi un farmaco, l’antabuse, che li rendesse certi della mia sobrietà, dopodiché fui pronto per iniziare.

Ricordo che vi erano varie mansioni da svolgere: dall’occuparsi degli ambienti interni come di quelli esterni, all’apparecchiare, sparecchiare e così via. Subito mi misero ad occuparmi del giardino. Io volevo fare bella figura. La schiena non mi reggeva, avevo passato otto mesi su di un letto al SPDC e i muscoli erano indolenziti, così davo due colpi di scopa e mi fermavo, due colpi di scopa e mi fermavo. Poi però la soddisfazione di aver portato a termine il lavoro a pensarci mi inorgoglisce ancora. Quello fu il primo giorno, dopo il lavoro, la pausa e il contatto con gli altri ospiti della struttura, con S., B., A. e gli altri. Mi ricordo che B. fu la prima a presentarsi. Lei si presentò, poi si interessò chiedendomi come mi chiamavo e cosa facevo, e io le risposi. La risposta fu circa così: Giuliano, schizofrenico. Ero chiaramente disturbato ma lei e S. furono dolcissime e non diedero peso a quella risposta, disturbata.
B. e S. avevano avuto un vissuto di amicizia che si era interrotto, non a causa di uno screzio ma semplicemente perché ad un certo punto presero strade diverse. Ora le loro strade si erano congiunte di nuovo ed era davvero bello vederle felici insieme. Così nei loro racconti imparavo della vita vissuta in comunità, non al Colombarone, ma in quelle dove stai ventiquattro ore al giorno, dove nascono amori e sodalizi. Imparai attraverso ciò che succedeva al Colombarone quali erano i vincoli di un’amicizia profonda. Fino ad allora avevo sempre pensato di avere degli amici: così non era. Di solito io e i miei amici ci frequentavamo per fumare, ma non era vera amicizia. I primi sei mesi di comunità furono davvero duri, ero sempre guardato a vista, quando rientravo in residenza non potevo neanche andare alla macchinetta del caffè che dovevo essere accompagnato. Poi pian piano le maglie si sono allargate, ad ogni passo dimostravo di essere pronto per il successivo.

I miei genitori furono davvero splendidi, e anche i miei fratelli, cui non ho mai dovuto spiegare nulla del perché era successo quello che era successo. Per aiutarmi mia madre cucinava sempre pietanze nuove e mio padre mi portava al cinema sia di sabato che di domenica. Ancora oggi, non così assiduamente, vado la domenica al cinema con mio padre. Ci facciamo compagnia, e se riusciamo, vediamo un bel film.

Dopo un anno e una manciata di mesi con mia grande gioia il Colombarone è finito. Avevo messo una pietra che al momento era ancora nulla rispetto al lavoro che mi sarebbe servito per arrivare a completare l’opera. Avevo ancora da tessere una rete sociale alla quale potermi aggrappare, dovevo ancora acquisire quelle capacità che mi avrebbero consentito di avere una vita autonoma, dovevo scrollarmi di dosso quell’etichetta così grave di pericolosità che mi ero creato come conseguenza del mio non trovare risposte allo stare male. Fu in quel frangente che trovai un amico. Un amico sincero, fedele, simpatico e di compagnia, di tanta compagnia che mi aiutò molto e al quale sarò sempre grato. Intanto vivevo sempre nella residenza del CSM. Da lì intrapresi nuovi percorsi, con il teatro, con il “social point” (il social point è un’organizzazione che si occupa di inserire soggetti svantaggiati nel tessuto relazionale cittadino), con il centro diurno, sempre all’interno del CSM. Dopo più di due anni di residenza arrivò la notizia che non doveva mai arrivare, ma che mi aspettavo: un anno in una comunità psichiatrica. Penso che se il mondo non mi crollò addosso è perché ha basi solide, ma non ci volevo credere, ancora un anno intero in una comunità psichiatrica, invece è stato così.

Giovedì vedo B. che è il proprietario dell’appartamento dove andrò a stare con Domenico. Domenico è un altro mio amico che ho conosciuto in residenza. Saremo lontani da quei vincoli imposti dalle istituzioni, avremo una vita autonoma e indipendente, anche se sarò poco distante dalla comunità; meglio così, non si sa mai che debba avere bisogno. Un anno, anche se il mio medico dice che passa velocemente, è stato faticoso. Di buono c’è che ho imparato a rendermi indipendente nello svolgere quelle mansioni che l’accudimento di una casa necessita, e che in fondo, ospiti e operatori, sono persone simpatiche con cui è stato bello relazionarsi.

Ho voluto raccontarvi questa storia perché avevo promesso di parlare, tra le altre cose, di salute mentale. In poco più di tre anni ho riassunto il senso di una vita intera. Ho mantenuto fede ai principi che mi ero posto: di non pesare più sull’economia familiare, di diventarne invece una risorsa. Mi sto ancora togliendo le croste di un paradigma durato più di trent’anni, ma questo è il suo lieto fine. Sono consapevole che è solo un voltare pagina da un passato di enorme sofferenza per guardare oltre, per vedere diritto in fronte quello che la vita può ancora offrirmi. Ho voluto scrivere questo come esempio di recovery, di quel percorso che un malato mentale deve ripercorrere ogni giorno della sua vita poiché la mente di un malato mentale è in divenire.

Schizofrenia – parte prima

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Autore del quadro: Giuliano

Cos’è la mente? E cos’è la salute mentale? E ancora, cos’è la malattia mentale? A queste domande cercherà di rispondere questo libro. Tutto è nato con me e tutto finirà con me. Prima, solo le cose che già esistono, e dopo ciò che sopravvivrà; ma io, la mia coscienza, la mia persona, siamo quel tempo che mi è stato di esistere. Se fossi un perditempo, un bontempone che ama scrivere, e se volessi essere originale potrei sostenere l’ipotesi che il creato non è altro che la raffigurazione della mia mente, che nulla è materiale e che tutto fuori di me è “l’olistica” rappresentazione dei miei sensi. Ciò nonostante, penso che la materia di cui è fatto il mondo e l’universo stesso, siano vita; e la mente è quella che sa organizzare con diversi gradi di giudizio l’esistente.

Nei racconti di mia madre, da bimbo, a confronto con i miei fratelli ma anche con gli altri bambini, ero diverso. Ero affettuoso, introverso e timido, esprimevo una tenerezza che non era comune. Solo nel tempo con gli anni mi son dato una risposta per questa diversità: ero incline all’autismo.

Per indagare una materia bisogna innegabilmente prevederne l’esistenza. Questa considerazione ci può aiutare se vogliamo fare un’indagine seria su ciò che significa “malattia mentale”. Malattia mentale non è sinonimo di follia, non è sinonimo di trasgressione. Si può affermare che la malattia mentale, a diversi livelli, rappresenta un’incapacità di analisi degli stimoli che ci pervengono dall’esterno. La follia è lo scollamento totale con la realtà. La trasgressione, quando si parla di regole, è uscire dall’ordinamento giuridico. Solo una di queste segue un iter giuridico che non prevede l’applicazione del diritto canonico, ed è l’infermità mentale.
Lo sguardo tenero di una madre per il figlio muta di intensità se il figlio soffre; diventa protettivo, se potesse, si sostituirebbe al male. E cambiano gli occhi e il modo di vedere il mondo.

Così, dire quando e perché mi sono ammalato… la risposta che mi sono dato è che la malattia è nata con me. Poi non so se cercare di evitare le linee dei marciapiedi, estraniarmi in classe e fumare spinelli, il non mettermi mai in gioco per non soffrire e vivere una vita mezzana, da soli o tutti insieme questi elementi rappresentano la sintomatologia di una malattia sufficiente per ricavarne una diagnosi.

Fatto sta che la mia diagnosi è quella.

Il mondo segreto di Alice – Fine

Il tempo di salpare di prendere visione delle cabine che ecco il motoscafo era già al largo. In coperta, una tavola imbandita e la visione di tutta la costa da Ravenna al Conero. Durante il tragitto in macchina Alice e Greta erano molto curiose; chi era mai quel padre tanto misterioso? Ora che avevano visto la barca lo erano ancora di più. Fabio puntualmente rispondeva alle loro domande ma si rendeva conto del loro stupore perché era anche il suo e quello di Davide. Avevano conosciuto il padre, che impartiva loro lezioni, ma ora lo vedevano all’opera e neppure loro pensavano potesse arrivare a tanto. Si era fatta mezzanotte e il cambusiere invitò gli ospiti a sedere a tavola; con loro si sedette anche in capitano. Il menu prevedeva carpaccio di tonno con salsa di ricci e vongole; lumachine di mare in umido, canocchie e polpo, capesante e sedano. Di primo, zuppa e spaghetti allo scoglio. Di secondo spiedini e frittura, tutto innaffiato con del verdicchio e del trebbiano d’annata. Le ragazze non erano abituate a mangiare e a bere tanto ma non si tirarono indietro.

Mentre si mangiava il capitano illustrava alle figlie le avventure passate insieme al padre nella guerra in Iraq e in Afghanistan e i ricordi di quand’erano stati a scuola insieme. “Voi ragazze vedete questo, ma tuo padre tutto ciò non se lo potrà mai permettere; il mestiere di tuo padre Alice rende tanto merito ma anche tanta fatica, e soprattutto i soldi che ha in tasca se li deve guadagnare come tutti, con il lavoro che trova, perché è essenziale che rimanga nell’anonimato. Tutto quello che avete visto oggi è stato possibile per la stima che tuo padre riceve dai suoi contatti.”

Erano le due quando finirono di mangiare; il capitano tornò in cabina e le ragazze si sedettero in salotto. L’atmosfera era ridanciana ed era venuto il momento di stappare una bottiglia di spumante. Ormai si era rotto definitivamente il ghiaccio; dopo una prima bottiglia un’altra poi un’altra ancora, così erano venute le quattro. Tutti erano decisamente sbronzi. Greta e Alice, talmente erano brille, si addormentarono in cabina insieme, con Alice che declinava il nome di Peter quasi ad invocarlo.

E qua il viaggio finisce. Prima ancora di arrivare a Paros; prima ancora di tornare. Tutto il lusso descritto nasce dalla fervente immaginazione di chi scrive. Alice stessa è un’immaginazione. Di vero rimangono le mie paure la mia voglia di crescere con delle cose vere, le notti in bianco pensate a cercare di dare un’educazione e di immaginarmi come sarebbe potuto essere avere un figlio. Tali sono i dettagli che penso possano essere già tanto. Non c’è amarezza nel constatare che la fantasia è la cosa più vera. Ho vissuto e vivo ancora con l’amore che questa figlia non mia mi ha dato. Ora che la storia di Alice finisce mi concentrerò sulla vita reale, su come va da queste parti, mi riferisco in particolare qui in comunità e alle diverse attività che svolgo al di fuori. Spero che anche voi abbiate un poco fantasticato con me e che il vostro giudizio non sia così grave poiché raccontare questa storia mi è piaciuto e mi ha impegnato. Un ringraziamento a tutti voi per i commenti che avete lasciato sul sito e grazie per avermi incoraggiato.

A rileggerci presto

Giuliano

Il mondo segreto di Alice – parte 6

numero1

Autore del quadro: Giuliano

Alice è sempre stata una bambina tranquilla che si faceva voler bene. Fin dal nido si legò a Greta, anche lei con un bel carattere. Presto le due famiglie divennero amiche e favorirono il legame tra le due bambine. Così i genitori si trovarono d’accordo nel mandarle all’asilo e alle elementari insieme. Greta era la terza di quattro fratelli. I genitori erano persone semplici, simpatiche, che facevano sacrifici per dare un’educazione ai figli, più di una volta sono intervenuto per aiutarli e ne sono sempre stato contento.

Ora che le ragazze erano grandi il loro legame sembrava davvero indissolubile. Erano amiche e complici. Così, l’avventura l’avevano nel sangue. Partite con due ragazzi con un mandato delle madri alla scoperta del padre legittimo mai conosciuto (che gli avevano detto essere un pezzo grosso del sismi) erano davvero incuriosite.

Io approdai agli studi di scienze politiche dopo aver già acquisito un diploma superiore in fisica delle particelle quando mi proposero di intraprendere la specializzazione di mediatore culturale accettai. Si trattava di inquadrarsi in una nuova figura professionale ad alta specializzazione. Così approfondii i miei studi e li arricchii di materie batteriologiche e chimiche. In contemporanea insieme ad altri scienziati demmo via al progetto “Genoma”. Eravamo un gruppo di scienziati che credeva che la prole non fosse il risultato equivalente del patrimonio genetico dei genitori ma che fosse qualcosa di diverso. Dopo 25 anni riuscimmo a sintetizzare l’intera catena del DNA. Fu un successo. Intanto i problemi incalzavano. Non ultimi quelli di salute.

Sul perché non volli mai vedere mia figlia fino al compimento del suo diciottesimo anno di vita era legato molto al mio lavoro che mi impegnava su più fronti. In primo luogo essere un ufficiale dei servizi segreti con mansioni operative avrebbe potuto esporre la mia famiglia a rappresaglie qualora mi avessero voluto colpire, in secondo luogo era davvero difficile poter conciliare un luogo dove poter rimanere. Io non ho mai rinunciato ad esserle vicino, le ho sempre fatto regali per il compleanno o a Natale e l’avere la complicità della madre ci rendeva comunque una famiglia.

Stavano per arrivare a Ravenna e l’atmosfera era ridanciana. Alice e Greta erano felici di festeggiare il compleanno su di una Ferrari con due ragazzi simpatici e pieni di risorse, così diversi da ciò che avevano conosciuto prima. Se tutto andava secondo i piani la mattina del giorno dopo si sarebbero trovate a Paros. Ad aspettarle, ormeggiato al porto, un cabinato a motore di quindici metri prestato al padre per l’occasione da un collega arabo. Lo stupore sembrava rubare il respiro non solo alle ragazze. Intanto Alice pensava al suo Peter con un poco di nostalgia.

Peter era un ragazzo di origini inglesi che Alice aveva conosciuto ad una festa di carnevale e di cui si era invaghita. I due si erano poi rivisti altre volte e sembrava che le cose funzionassero. Ora Peter era andato in Inghilterra ma sarebbe tornato presto.

Erano tutti a bordo con la nave pronta a salpare. Avrebbero navigato tutta la notte ma nessuno avrebbe dormito. Ad Alice e Greta erano state riservate due cabine diverse, entrambe matrimoniali, con un enorme guardaroba dove avrebbero potuto scegliere i vestiti che più garbavano loro, per non parlare delle scarpiere… Tutto quello che poteva piacere a due giovani donne.

Il mondo segreto di Alice – parte 5

numero6

Autore del quadro: Giuliano

Dedicato a tutti coloro che mi hanno chiesto di Alice.

Era il giorno del suo compleanno e aveva deciso di uscire con la sua amica per prendere un aperitivo e andare a ballare. Era il giorno del suo diciottesimo anno. Sapevo che sarebbe andata al caffè Italia e così era. Grazie alle mie conoscenze nella marina e per la stima che mi ero fatto nelle forze armate in generale con il mio lavoro di mediatore culturale potevo vantare agganci preziosi. Così mi servii dei servizi segreti.

Mentre Alice e Greta aspettavano di ordinare nel locale le feci raggiungere da due dei miei uomini. Ragazzi seri, aitanti, belli ai quali avevo chiesto di essere gentili. Così i quattro attaccarono bottone. Per un mediatore culturale è abbastanza facile entrare in simpatia con l’interlocutore e i due baldi giovani erano miei allievi. Poco dopo aver rotto il ghiaccio Fabio si gettò: “Tuo padre, Alice, ci ha chiesto di farvi fare un giro in barca; c’è una macchina che ci aspetta, in quaranta minuti siamo a Ravenna e lì ci imbarchiamo. Le vostre madri sono già state avvertite che tornerete fra due giorni.”

Dopo un attimo di trepidazione le ragazze si lasciarono convincere. Ad aspettarle, una Ferrari a quattro porte; fu Davide a mettersi alla guida. I ragazzi erano appena usciti dall’accademia e sapevano il fatto loro, ma soprattutto conoscevano me. La prima ad interloquire fu Alice, che esordì: “Ma dove ha trovato tutti ‘sti soldi?”, “Forse non conosci così bene tuo padre” replicò Fabio. Da lì in poi furono domande su domande, su questo padre che Alice pensava essere diverso. Finché Fabio esordì con un “Ma ora pensiamo a noi. Tra venti minuti salperemo. Potete decidere dove andare o decidere voi stesse che preferite fare”. Alice, incredula come Greta, non sapeva nemmeno dove fosse, il rumore di quella macchina l’assorbiva e le domande erano pari ai dubbi che quei due ragazzi le avevano fatto venire. “Non è che ci vogliate far male? Telefono a mia madre”. Una volta al telefono la madre le confermo tutto disse di stare bene e che era ora che conoscesse il suo vero padre.

Il mondo segreto di Alice – parte 4

numero2d

Autore dei quadri: Giuliano

Per anni ho vissuto al piano sottostante ai miei, da lì portavo avanti la mia vita. Negli ultimi tempi colmavo la solitudine con la fantasia, ero convinto che mai avrei potuto soddisfare l’ambizione che nutrivo. La mia vita sentimentale era piena per tutta la notte poi mi risvegliavo di giorno solo in quel covo. Era un carico davvero pesante da sopportare. In aiuto la dolcezza di certe donne assai più giovani e compagne generose, più di me. Si vede che ancora dovevo dare di più.

Continuare a negare la malattia rendeva tutto impossibile. Così le mie serate le condividevo con amici potenti o simpatici sorseggiando bottiglie di vino pregiato. Ormai ero al colmo e la malattia si era sfogata in maniera violenta. Non so se ogni vita abbia stessa dignità. Quello che penso è che intorno a me si sono concentrate moltissime persone, queste persone mi hanno conosciuto sono state coinvolte; alla fine la soddisfazione è di tutti.
Vedo che alle verifiche partecipano persone che a diverso titolo si sono prese in carico la mia salute; vedo che funziona, vedo che i miei cari si sentono bene e anche io mi sento bene. La cautela che prevede la mia malattia è da tenere in considerazione. So bene che se non abbandono le cure ed evito di ricadere nelle sostanze posso avere una vita come le altre persone.

Oggi come oggi sono felice. Ho un bagaglio esperienziale di tutto conto e posso sperare di farmi una vita con l’affetto e la stima delle persone a me care. Sempre è successo che ad avvilirmi fossi io, mi davo dello stupido anche quando nessuno lo ha mai pensato di me. Ho avuto la fortuna di amare donne e di essere amato; la fortuna che anche nella malattia ho preservato un fisico sano, che le mie doti cognitive sono integre e che ho progetti per la mia vita di oggi; pensare che oggi sia più importante di ieri e di domani.

numero3

Autore del quadro: Giuliano

Se non fossi come sono, se non fossi così folle, se fossi stato meno folle non avrei mai vinto la malattia. Il momento critico è stato quando ho cominciato a vedere nero e mi sono reso conto che il castello che avevo costruito mi stava crollando addosso, a quel punto sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa. Di mio non vi era rimasto, nulla nemmeno riuscivo pensare Alice. Mi vedevo abitare in quel bunker dove il cecchino appostato nella garitta prospiciente lo studio, messo lì, pronto a far fuoco una volta ricevuto l’ordine, era rinsecchito anch’egli a forza di attendere; a quel punto non avevo neppure il desiderio di vivere.

Quanti problemi quella casa, il mio volere abitare diversamente penso sia un sacrosanto diritto. Ho il diritto di abitare un posto mio; sono tre anni che lavoro per questo. Alice ormai è grande, ogni tanto la vedo. Assomiglia moltissimo alla madre ed è sempre in compagnia della sua amica più cara, quella che si è portata dietro fin dalle elementari, la sua mente razionale. Faccio finta di niente, mi gonfio di gioia, come con la madre non le riesco dire niente, ci sarebbero così tante cose che l’unica cosa è tacere. Forse potrei partire con un ciao ti ricordi, poi mi rendo conto che non importa, che è ora che rimanga in disparte.

Delle varie forme di sofferenza la più cocente è stata la segregazione. Nessuna me l’ha imposta, forse l’ho vissuta senza averla cercata, forse ero troppo debole per vincerla. Tra le cose del mondo ho scelto di essere genitore senza mai avere la prole. Però ora non so di che lamentarmi. Bene o male avrò quella casa e con essa forse, se troverò la persona giusta e ne avrò voglia, potrei chi sa diventare padre.

Il mondo segreto di Alice – parte 3

Autore del quadro: Giuliano

Tre anni fa nessuno credeva che ce l’avrei fatta. Da quel letto d’ospedale neppure io credevo che sarei mai uscito. Guardare avanti; vedevo un cammino impossibile da realizzare. Come unica risorsa avevo una pensione minima, che da sola mi garantiva poco o nulla. I sensi di colpa per avere cagionato pericolo ai miei genitori e il pensiero che non sarei più ritornato a vivere con loro, di dover provvedere a me stesso, di dovermi disintossicare da alcol e cannabis… mi sembrava davvero di non potercela fare. Più di un momento ho pensato di farla finita.

Poi lo spiraglio: un centro diurno per il recupero dai miei problemi e l’invio in una strutture residenziali in alternativa alla terapia intensiva. Devo ringraziare la dottoressa D. L. e il dottor S., nonché il dottor M., che mi hanno preso in carico dandomi fiducia e facendomi capire che quella era l’unica opzione possibile.

I primi mesi sono stati davvero duri. Frequentavo il centro diurno e la sera rientravo nella residenza dove non mi era concesso neppure fare le scale per prendere un caffè se non accompagnato.
Poi pian piano ho imparato dalle persone che come me erano in programma un modo diverso di socializzare, fuori dal groviglio delle sostanze. Lentamente sono tornato ad acquisire padronanza di me; ho cominciato ad avere consapevolezza di ciò che era accaduto nei trent’anni di abuso.
Mi avvicinavo alle dimissioni e ogni giorno che passava era un giorno in più di vita. Il tentativo di un accesso mirato per l’impiego e il fallimento di questo hanno fatto sì che maturassi la convinzione che avrei campato con la mia pensione, se pur minima.

Autore del quadro: Giuliano

Così dopo otto mesi in diagnosi cura e due anni in residenza approdo nella comunità Sottosopra. Se non fosse stato per D., che mi è stato sempre vicino nel periodo passato in residenza, non so come avrei fatto a re-inventarmi una vita. Per guarire dovevo partire dal nulla; niente più sostanze, niente più vecchie amicizie, niente più casa. L’incubo di non avere più risorse pian piano ha fatto spazio a un sogno che sto ancora sognando. Con l’aiuto della dottoressa S.,con la sua guida, ho progressivamente attinto risorse là dove vi erano. Ho mantenuto i miei programmi. Vado una volta la settimana a dipingere, mi sto concentrando nella realizzazione di un fumetto, ho sviluppato insieme ad altri una campagna di sensibilizzazione contro le dipendenze patologiche; ora sempre con queste persone stiamo sviluppando un progetto per il festival della filosofia e per la settimana della salute mentale, ed io per la prima volta mi sento vivo e sano.

Autore del quadro: Giuliano