Gesù e il Dalai Lama

IMG_0256In questi ultimi tempi ho appena finito di leggere un interessante volume che ha per oggetto il titolo del presente articolo. Il Dalai Lama, massima autorità del buddismo tibetano, vive dal 1959 in India, in esilio, in quanto sia la sua religione che il suo popolo sono oggetto di una feroce politica di genocidio e repressione culturale da parte delle autorità della Cina Comunista. Massima fra le autorità del pacifismo mondiale, il Dalai Lama ha ricevuto il premio nobel per la pace nel 1989.

Alcuni anni fa a Londra si è svolto un ciclo di conferenze su Gesù ed il buddismo tenuto da autorevoli esperti delle più importanti confessioni religiose. Da un primo approccio sembrerebbe quasi impossibile trovare punti di contatto fra le due religioni, che hanno antropologie, cosmologie e pratiche differenti, in maniera radicale. Nel Buddismo non vi è una sola storia che inizia e termina con l’azione di Dio, hh4come nelle tre grandi religioni monoteistiche, ma vi è una sorta di successioni di ere che a loro volta si ripetono in una serie di eoni infiniti. Inoltre anche per quello che riguarda l’immortalità dell’anima si viaggia su due binari completamente differenti. In occidente, la tradizione giudaico-cristiana crede in una sopravvivenza dello spirito individuale, mentre il buddismo (a seconda delle scuole) ha una sorta di annientamento nel nirvana e quindi di liberazione dello spirito dal ciclo permanente delle ere, dato che questo alternarsi di esistenze, se riguarda comportamenti riprovevoli, può ritardare di centinaia di volte, che diventano poi reincarnazioni  di persone con una vita difficile.

La cosa più interessante che è venuta alla luce da questi colloqui bilaterali è stata la grande umiltà del Dalai Lama che ha candidamente ammesso, nonostante la sua sterminata cultura, di non essersi mai approcciato al tema dei Vangeli e del Cristianesimo in generale. Nonostante la novità dei contenuti biblici che egli ha letto è riuscito a tessere una trama di punti comuni NORWAY DALAI LAMAfra le due religioni in particolare modo per quanto riguarda la presenza in entrambe di forme di compassione e misericordia. Il Dalai Lama si è detto colpito da queste assonanze che potrebbero portare ad ulteriori confronti fra le due religioni. Il Vangelo di Matteo con il suo meraviglioso discorso delle beatitudini ha molto colpito l’esponente tibetano che ha anche ammesso che nonostante le differenze si può avviare un processo di collaborazione fra  Asia e Occidente sulla base della compassione ed inoltre sarebbe possibile una pratica comune di meditazione e preghiera contemplativa.

Questo seminario, che ho cercato modestamente di riassumervi, ha aperto un nuovo spiraglio per il terzo millennio, dove a causa della globalizzazione tutto è disponibile per tutti.

Antonio

Ebrei nel… Gargano

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Intendo fare partecipi gli amici del blog di una storia davvero singolare e che in questi ultimi anni è tornata alla cronaca dopo alcuni decenni di oblio. A Sannicandro Garganico, piccolo paese dell’entroterra pugliese, viveva verso la fine degli anni venti un bracciante agricolo, invalido di guerra: Donato  Manduzio, devoto ed assiduo lettore della Bibbia, non ebreo, che cominciò a studiare e leggere e rileggere l’Antico Testamento. Dopo alcuni anni si convinse e convinse anche un piccolo gruppo di compaesani a seguire come scrittura ispirata solo l’Antico Testamento in quanto rivelato agli ebrei, ed essi stessi sotto la guida di Manduzio si definirono figli d’Israele, dopo secoli che nel Gargano non  ne abitava nessuno.
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Donato Manduzio ed i suoi seguaci fondarono  una sala di riunione basata sulle norme ebraiche senza immagini e statue. Il culto, oltre che sulla lettura di brani della Bibbia (di cui venivano osservate tutte le festività antiche), era basato su canti che il Manduzio componeva per la comunità. Il leader del piccolo gruppo di contadini neo-convertiti ignorava completamente che in Italia, all’epoca, esistesse una minoranza ebraica di circa sessantamila persone sparsa per il centro-nord. Fu un venditore ambulante di passaggio che informò Manduzio dell’esistenza di una fitta rete di comunità in tutta Europa. Intanto, anche l’autorità ecclesiastica ed i carabinieri cominciavano ad interessarsi a questo strano gruppo che osservava il Sabato ed il Kippur oltre che la Pasqua e le Capanne. Dopo la rivelazione dell’ambulante, Manduzio si mise in contatto con la Comunità di Roma, dove in un primo momento la cosa venne vista come una bizzarria. Verso il 1935 un rabbino ed altri funzionari di culto ebbero un incontro memorabile con i neofiti del Gargano e lasciarono loro libri di preghiera, scialli rituali ed altri oggetti destinati al culto.

Purtroppo però il clima stava cambiando rapidamente con la crescita dell’antisemitismo e la promulgazione delle leggi razziali del ‘38. Manduzio e tutta la sua Comunità, con coraggio ammirevole, si iscrissero all’anagrafe come ebrei. Da Roma i rabbini scrissero alle autorità locali che il gruppo non era riconosciuto come ebreo, per non esporre questo alla persecuzione. Solo nel 1945 la storia ebbe il suo lieto fine: dopo un corso di lezioni sull’ebraismo post-biblico, i seguaci di Manduzio furono tutti ufficialmente convertiti dal Rabbinato di Roma che decise per la circoncisione degli uomini e l’immersione rituale per le donne. Questi contadini, alla fondazione dello Stato d’Israele migrarono in gran parte nel nuovo Stato, dove si integrarono perfettamente e dove ne vivono tuttora i discendenti. Esiste tuttora una piccola comunità con Sinagoga a Sannicandro.
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In conclusione, per i  credenti questa storia ha un aspetto trascendente, mentre per gli storici è uno dei rari casi di conversione al giudaismo nati in zone deserte di ebrei.

Antonio

Gesù ebreo – parte 1

Come anticipato nel mio precedente intervento su questo blog, inizio a trattare un argomento che non si esaurirà in un solo scritto ma proseguirà a puntate, se mi sia consentito l’uso di questa parola.

La scoperta dell’ebraicità di Gesù risale, da parte del mondo cristiano, all’indomani dell’immane tragedia della Shoah, quando un superstite francese, Jules Isaac, pubblicò un corposo volume dal titolo “Gesù e Israele”. L’opera apriva quasi per incanto al mondo cristiano gli aspetti che ci possono fare affermare tranquillamente che i Vangeli sono un documento ebraico. Il  volume venne consegnato al Pontefice allora regnante (Giovanni XIII) dall’autore ed il Papa lo consegnò al Cardinale Bea con la preghiera di valutare se l’opera poteva essere di utilità per il dibattimento della questione ebraica al Concilio.
E’ sulla base di quest’opera che poi nel 1965 i Padri Conciliari promulgarono la dichiarazione “Nostra Aetate”, cioè i Nostri Tempi, avente per oggetto il dialogo della Chiesa con il Popolo Ebraico. Per la prima  volta dopo duemila anni di cecità ed incomprensione a tutti parve chiaro che tutto non sarebbe stato come prima. Da allora grandi passi sono stati fatti nel campo del dialogo e della conoscenza.
L’Ebraismo dei tempi di Gesù non è monolitico, anzi si differenzia in vari gruppi e sette. Questo per far capire come Gesù non si muova su un teatro uniforme da un punto di vista dottrinale.

Dopo questa breve digressione, veniamo a trattare un tema che per molti secoli è stato oggetto di accuse gratuite ed offese: quello dei Farisei. Per molti, questa parola equivale a dire persona ipocrita, formalista e falsa. Non è affatto così: il termine in ebraico deriva dalla parola perushim, che significa i separati, cioè coloro che vivevano separati per osservare un loro particolare modo di osservare l’ebraismo. Addirittura, per i primissimi tempi dell’era volgare, questa parola era vista come parola di rimprovero nei confronti di chi non osservava certi precetti a scapito di altri. Il problema sta tutto nell’uso che ne fecero i Cristiani nei primi secoli, quando iniziarono ad usare le parole di Gesù contro i farisei come se fossero dirette contro il Giudaismo Ufficiale. La reazione dei religiosi ebrei di quel periodo di totale autodifesa fu quello di identificare i Farisei con i sapienti ed i Maestri.

Indubbiamente il mondo ebraico del tempo di Gesù è molto variegato, oltre ai Farisei vi era il gruppo dei Sadducei, che deriva da Sadoq, capostipite della dinastia dei sacerdoti che officiavano nel tempio. Di essi i Vangeli parlano alcune volte riferendosi alla dottrina della Resurrezione che essi rifiutavano. Inoltre vi erano gli Esseni, una setta che viveva nel deserto vicino al Mar Morto che praticavano un rigorosissimo ascetismo e studiavano i testi della loro dottrina. Essi sono diventati celebri nel 1948, quando nelle grotte di Qurman vennero rinvenuti, in vari nascondigli, antichissimi testi biblici e rotoli della loro letteratura. Questa scoperta epocale fece divenire celebre al grande pubblico il gruppo dei manoscritti del Mar Morto.

Lo spazio è tiranno, quindi ci dobbiamo fermare qui, ma negli altri interventi vedremo di approfondire questi interessanti argomenti.

Antonio

Quei lumi di venerdì sera… a Reggio Emilia

Come stabilito dai Maestri dell’Ebraismo, fin dai tempi della compilazione delle grandi raccolte nel II secolo e.v., fra i precetti della vigilia del Sabato, vi è anche quello dell’accensione dei lumi, e questo appunto al tramonto del Venerdì.

Questo precetto è tradizionalmente riservato alla donna ebrea, che è ritenuta la regina della casa, ed essa è tenuta a recitare la benedizione specifica dei lumi. Da quel momento in poi la  Luce del Sabato entra nella casa con la pace e le benedizioni che ne conseguono. A Reggio Emilia la Comunità Ebraica, già decimata dalle persecuzioni nazifasciste, con una tragica sequela di deportazioni di numerosi membri  e caratterizzata da una  situazione demografica disastrosa, era ormai, all’indomani del conflitto destinata all’estinzione. I superstiti erano poco più di venti. Quando ero ragazzino, mi ricordo oggi, dei molti venerdì pomeriggio invernali, quando il Sabato comincia presto, causa il precoce tramonto del sole, passati nelle due ultime case di Reggio dove si accendevano i lumi in onore della Regina Shabbat.

Una era la casa Ottolenghi, dove viveva Edmea, vedova dell’ultimo officiante della Comunità, che nel 1945 aveva arredato una sala della sua grande casa a Sinagoga nel vecchio ghetto. Ciò nella speranza di poter ripristinare l’ufficiatura, almeno nei giorni più solenni, ma data l’esiguità dei superstiti questo non si verificò. Edmea mi raccontava le vecchie storie della comunità reggiana, quando accendeva il lume, si raccoglieva in preghiera,  e veramente vedevo nel suo sguardo una gioia e una grande pace.

La tradizione di  casa Ottolenghi  finì  nel 1979 quando Edmea si trasferì dai nipoti a Genova dove morì vecchissima nel 1986.

L’ultima casa dove vi era ancora l’accensione dei lumi sabbatici era quella del Prof. Padoa, storico docente di generazioni di studenti di greco al liceo classico. La sorella finiti tutti i preparativi in cucina, di Sabato è infatti vietato cucinare, ci chiamava in salotto  dove accendeva i lumi ad olio, da una lampada sabbatica in loro possesso da secoli. Anche in quella casa si respirava un clima speciale dopo il rito. Poi entrambi  sono mancati attorno agli anni ‘90  e dopo di loro tutti gli ebrei di Reggio. Ora la comunità è estinta. Il venerdì sera penso, talvolta, al fatto che dopo secoli di presenza ebraica a Reggio  non ci sia più la cerimonia di accoglienza del Sabato.

Un po’ di nostalgia e di commozione mi pervadono. Come si dice in ebraico dei Giusti che sono mancati: “Sia il loro ricordo una Benedizione”.

Dietro la porta chiusa

Questo settembre la Sinagoga di Piazza Mazzini che per molte persone rimane un luogo misterioso o deserto, nonostante gli  ormai tradizionali appuntamenti della Giornata della Memoria e della Cultura Ebraica abbiano permesso a molti modenesi di visitare quella che impropriamente viene definita la Chiesa degli ebrei, ha visto un’insolita animazione.

Infatti sabato 14 settembre parecchie persone hanno visto capannelli di uomini e donne ed anche qualche bambino, sostare davanti al Tempio varie volte durante la giornata e rientrare, dopo queste pause, nel luogo di culto. Quel Sabato era il giorno più importante e solenne dell’anno: il Giorno di Kippur. Ma il significato di ‘Kippur’ è giorno delle Espiazioni, nel quale per oltre ventisei ore dal tramonto del giorno precedente fino alla notte del giorno della festa è assolutamente vietato ingerire liquidi e cibi di qualsiasi tipo. È il giorno nel quale viene letta la pergamena della Legge che è custodita nell’armadio sacro, giorno che vede l’ufficiatura ininterrotta e che vede adempiere nel popolo Ebraico il ruolo della sua missione di popolo sacerdote dell’Umanità. Per tutta la giornata i fedeli indossano il bianco scialle di preghiera: questa visione di uomini avvolti in questi sacri oggetti hanno dato a quelle poche persone che hanno assistito alle cerimonie un’impressione profonda. Un evento atteso da tutti i fedeli è il segnale della fine del digiuno che viene effettuata con il suono di un corno d’ariete, altissimo e stridulo, che chiude la giornata.

Questa giornata da decenni  mi vede, come si dice in ebraico, Baal Teshuva’ cioè uomo che cerca di ritornare a Dio oppure al trascendente. Seppur sia sfibrante  ho sempre osservato il digiuno e una cosa che mi commuove molto è la cerimonia della  commemorazione dei defunti in cui vengono ricordati tutti i cari amici e familiari  che non ci sono più. Ancor più significativo è pensare che è il giorno che vede una piccola comunità stingersi attorno alle sue tradizioni…

Chi l’avrebbe mai detto, e in questo mi riferisco ai miei concittadini, che succede tutto questo dietro la porta chiusa di Piazza Mazzini?