Festa di fine estate

La comunità Sottosopra è lieta di invitarvi

alla festa di fine estate

che si terrà il giorno 3 ottobre 2015

dalle ore 15,30 alle 18,30

in via Crespellani 72 Modena

per festeggiare insieme l’arrivo dell’autunno

Vi aspettiamo numerosi!

Comunità Sottosopra

Tel. 059 7470956

Lisbona, arriviamo!

Dopo la fantastica esperienza del Mind Rights Film Festival a Lisbona è arrivato il momento di pubblicare le impressioni di chi ha vissuto quei giorni densi di novità.

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“Cinque novembre 2014, sono mesi che aspettiamo questo giorno. Si parte per Lisbona. Mattia ha realizzato un cortometraggio, Simona ha mantenuto i contatti e Angela ha preparato i panini, siamo davvero pronti. Da quando siamo stati a Roma questa storia dei festival ha galvanizzato un pò tutti.  Era una lontana speranza quando qualche mese fa abbiamo inviato il nostro lavoro al Mind Rights Film Festival di Lisbona. Nessuno poteva seriamente credere che ci avrebbero selezionati e invece nei sogni bisogna crederci, perché a volte si avverano. Io con Mattia, Simona, Renzo, Beppe (così gli amici lo chiamano) e Angela, formiamo una squadra davvero forte. Si decolla! Dopo poco meno di tre ore siamo a destinazione. Qualche problema, scegliamo di sederci e fare qualche foto prima di ingarbugliarci con linee blu, rosse e gialle della metro, con le guide della città tenute sempre a portata di mano. Il primo impatto con la città è stato bello: palazzi giganteschi con pareti rivestite di maioliche, un’architettura mozzafiato, la foce del fiume che va all’oceano, i vicoletti in salita.  L’unica confusione è stata orientarci per arrivare all’albergo. Per il resto notiamo la gente cordiale, il traffico non ingolfato, poi l’albergo bello e vicino alla Fondazione Gulbenkian, meta del nostro pellegrinaggio e sede del festival. Abbiamo modo di riposarci qualche minuto, ma siamo a Lisbona con un obiettivo ben preciso: vincere il festival, anche se con i sogni bisogna andarci cauti. Sappiamo che Mattia ha fatto un buon Lavoro, lui è una persona capace ed è grazie a lui se siamo stati selezionati, ma noi ormai siamo una squadra ed il merito è di noi tutti. Subito veniamo accolti con un occhio di riguardo, siamo l’unica delegazione di operatori e utenti presente. Il documentario è stato visto e ci invitano al pranzo di gala con nostra piena soddisfazione. Arriviamo al pomeriggio, lasciamo Mattia lavorare alla fondazione e noi andiamo in giro per la città. Il giorno seguente ci alziamo presto e ci gustiamo il panorama di Lisbona a bordo di un bus turistico per essere poi pronti alle 16,00 a ritirare il nostro premio. Non vinciamo nessun premio, però ci invitano di nuovo a cena e noi ci andiamo felicissimi di essere stati invitati. Siamo in un’osteria, ad una tavolata composta da italiani, portoghesi, irlandesi, inglesi. Si parla un po’ in tutte le lingue ma ci si capisce benissimo e finisce sempre tutto in grandi risate. La sveglia suona presto all’indomani mattina. Ormai è ora di ripartire, ma non prima che una gentilissima e assai graziosa ragazza di Roma conosciuta al festival ci porti a gustare una prelibatezza del posto. Sbrigati gli ultimi convenevoli e salutati gli amici è ora di dirigersi in aeroporto. Come tutti partiamo con un pizzico di nostalgia, con il pensiero di avere trovato degli amici e con il desiderio di avverare altri sogni”.

Giuliano Cuoghi

“E’ stata un’esperienza dura, in quanto era la prima volta che andavamo là, in aeroplano. C’erano da fare molte cose: tipo timbrare i biglietti, prendere la metropolitana, spostarsi per Lisbona, fare le riunioni. Siamo partiti dall’aeroporto vicino Bergamo, dove hanno fatto controlli di routine. Avevamo con noi tutto l’occorrente: medicine, vestiti, soldi, caramelle per il volo (perché non si poteva fumare). Al ritorno solito giro di controlli in aeroporto, dall’aeroporto di Lisbona a Bergamo. A Lisbona, nel tempo libero, andavamo a mangiare nei vari ristoranti e pizzerie e abbiamo notato che il cibo più tipico era il baccalà. In tali luoghi vi erano diverse persone di varie nazioni e abbiamo scoperto di avere tutti tante cose in comune. Siamo saliti anche su una torre dove si vedeva la maggior parte di Lisbona. Nel tempo libero, grazie ad un pullman turistico aperto sopra abbiamo fatto il giro di Lisbona ed è stato molto bello. La mia impressione sui film proiettati, vincenti e non, mi ha fatto pensare che il migliore era il nostro in quanto sdrammatizzava molto e faceva divertire”.

Renzo Ruffini

“Io, Giuliano, Renzo, Simona, Angela e Mattia siamo andati a Lisbona per la proiezione del nostro cortometraggio. Siamo partiti dalla comunità per prendere l’aereo a Bergamo e siamo arrivati a Lisbona. È stato un viaggio lungo, durato tre ore. Poi siamo arrivati e abbiamo visitato il centro a piedi, poi siamo saliti su un pullman che ci ha mostrato con una audio guida la città. Dopo la visita siamo tornati nello stesso posto di partenza e siamo scesi. Dopo siamo andati a mangiare in un ristorante bello. Lì ho mangiato braciole impanate e patatine. Poi siamo usciti dal ristorante e siamo andati a vedere il cortometraggio ed è andato tutto bene, anche se non abbiamo vinto alcun premio. Siamo stati a visitare il porto di Lisbona, c’era il sole che picchiava e siamo stati al calduccio”.

Giuseppe Pisciotta

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3Dreams

Ecco finalmente il cortometraggio che portiamo a Lisbona per intero, sottotitolato in italiano.

Ora andiamo a prendere l’aereo, aspettate le prossime novità direttamente dal festival!

Lisbona, arriviamo!

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Dopo il silenzio estivo è finalmente arrivato il momento di aggiornare il nostro blog, e lo facciamo con la notizia più bella che potevamo ricevere!

Il nostro film 3Dreams è stato selezionato al Mind Rights Film Festival, un festival cinematografico internazionale che ha l’obiettivo di promuovere la salute mentale e che si terrà a Lisbona il 6-7 novembre. Visto che avevamo deciso di realizzare questo film spinti dall’idea di poter partecipare proprio a questo festival non potevamo essere più soddisfatti!

Il MRFF è alla sua prima edizione ma ha già raccolto lavori di prima qualità provenienti da tutto il mondo (potete seguire gli aggiornamenti sulla loro pagina facebook), in tutto una ventina di cortometraggi. Questo, oltre a renderci particolarmente orgogliosi ci stimola a lavorare ancora di più sui nostri progetti.

Il film racconta del nostro ultimo ambizioso progetto, nato sulla scia dell’idea che ci spinse anche ad aprire questo blog, ovvero quella di utilizzare le nuove tecnologie per aprirsi al mondo esterno e guadagnare maggiore autonomia.
Questa volta l’abbiamo fatto utilizzando una stampante 3D!

Presto alcuni di noi partiranno quindi alla volta di Lisbona e già non vedono l’ora… Oltre che un’occasione per mostrare la nostra esperienza in un contesto internazionale e per confrontarsi con altre realtà sarà un’esperienza unica per visitare una capitale straniera così affascinante e suggestiva.

Ma le novità non finiscono qui. Prima di attraversare i Pirenei infatti il nostro film verrà proiettato il 23 ottobre nel corso della settimana della salute mentale a Modena (qui trovate il programma), un evento che raccoglie ospiti nazionali e internazionali del panorama della salute mentale e promuove un gran numero di iniziative. Là gli ospiti presenti potranno anche vedere in anteprima gli oggetti che stiamo realizzando con la nuova stampante 3D.

Intanto il nostro lavoro procede, e a Sottosopra ci si dà un gran da fare per consegnare a breve tutti i gadget alla cooperativa Gulliver (se non sai ancora di cosa si tratta allora guarda il cortometraggio cliccando qui!). Presto pubblicheremo altro materiale interessante per promuovere il nostro progetto, aggiornamenti sui lavori in corso e tante altre novità!

Nell’attesa, ci lasciamo andare a un po’ di saudade…

La guarigione impossibile – prima parte

Mi trovo di nuovo infognato, ora che pensavo di esserne fuori sono andato a ricadere nell’alcol. Non pensavo fosse un problema così grosso da non potermi permettere nemmeno una birra analcolica. Già me l’hanno spiegato ben bene: anche la birra analcolica, analcolica non è. Pensavo che almeno quel minimo me lo potevo permettere. Invece no. A me fa male. Non posso nemmeno prendere le gocce, che anche quelle mi fanno male. Sono quattro anni che sono in ballo. Otto mesi di diagnosi e cura, un anno e qualche mese di comunità, due anni in residenza e un altro anno di comunità; tutti consideravano il mio percorso importante, un esempio. Ora tutto viene messo in dubbio, ora dubitano che possa farcela a dire basta una volta per tutte. I mesi passati in diagnosi e cura furono davvero lunghi perché per descrivere con un aggettivo quel posto uno vale l’altro. Ci arrivai con un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) dopo che avevo incendiato il solaio di casa. Al TSO vi si può opporre in tribunale ma il margine che il giudizio ti sia favorevole è praticamente nullo. Appena arrivò la sentenza (che non tardò ad arrivare) il medico mi fece un TSO di quattro settimane quando di solito è di una. Quando me lo comunicò, sembra un ovvietà dirlo, mi sembrò che il mondo mi crollasse addosso. Rabbia e incredulità furono le sensazioni più nitide che ricordo di quel momento. Se non conoscete cos’è diagnosi e cura, dovete sapere alcune cose. Ci sono infermieri ovunque, ognuno con un mazzo di chiavi che servono per aprire e per chiudere le porte di accesso. Solitamente al spdc si arriva di notte e per prima cosa ti fanno un’iniezione e ti legano al letto se mostri segni di irrequietezza. L’iniezione ti fa dormire tutta la notte e quando ti svegli legato ti viene di chiedere aiuto agli infermieri poiché ti sleghino, non sempre sono solerti. Il presidio di diagnosi e cura è un lungo corridoio con ai lati le camere a due letti con una sala fumo, e in fondo un paio di macchine erogatrici di bevande. Di fronte alla sala fumo c’è la guardiola con gli infermieri e di fianco la sala mensa con due divani e un televisore, oltre ai tavoli. Il tempo non passa mai. L’unico svago sono le sigarette e le storie degli altri. I miei erano spaventati e gli fu consigliato quando venirmi a trovare. Ricordo come lo avessi di fronte ora il volto di mio padre, e quello di mia madre: non c’è che dire. Il mio risveglio in diagnosi e cura non fu un risveglio tranquillo: tutt’altro. La consapevolezza che i miei erano le vittime del mio folle gesto e che non se lo sono meritato, che tutto era dipeso da un momento di follia e che solo per un fato benevolo non vi erano state ricadute peggiori di quelle che sarebbero potute esservi… fu un risveglio pieno di dubbi. Tra mille dubbi, alcune certezze, non so come mi vennero: non avrei più chiesto soldi ai miei, avrei fatto con le mie risorse, non sarei più entrato in urto con loro, non avrei più pesato sulla famiglia e, se ve ne fosse stato bisogno, sarei andato a lavorare. Per fortuna mi capitò un medico scrupoloso che mi concedeva numerosi colloqui, questi mi aiutavano a dare un senso a quel tempo altrimenti infinito. Dopo otto mesi, la svolta: il mio dire sì alla comunità e il mio trasferimento nella residenza del centro di salute mentale di via Paul Harris. A quindici anni che vuoi capire? Non avevo dei veri amici ma solo frequentazioni che lasciavano il segno che lasciavano. Ad un certo punto in casa arrivò un libro che era meglio non fosse mai entrato: “marijwana e altre storie”; un libro che esaltava le qualità benefiche della cannabis che insegnava come utilizzarla e che sosteneva che i cannabinoidi erano una droga leggera rispetto eroina e cocaina. Lessi quel libro e mi rimase la curiosità di provare lo spinello. Presto da quell’assaggio ve ne furono altri poi cominciai ad associarli alla birra e ben presto ne divenni dipendente. A quell’epoca arrivavano circa settanta chili di fumo alla settimana a Modena, ma erano già assegnati, per cui chi non era del giro faceva fatica a trovarne. Così io passavo le mie sera in giro per le varie compagnie a elemosinare dieci mila lire di fumo. In quella vita c’era molta tristezza, molto vuoto e molta disperazione. Ero capace di girare per ore poi quando lo trovavo lo consumavo e andavo a bere. In altre parole, e senza tanti eufemismi, era proprio una vita di merda. Ben presto i miei genitori si accorsero della vita che conducevo e mi tolsero la fiducia. Mio padre non ha mai smesso di volermi bene ma non sopportava che io buttassi la mia vita così giù da un cesso. Ben presto fui schiacciato dai sensi di colpa ma mai mi balenò l’idea di smettere. Provai anche la cocaina e qualche acido, dopodiché la malattia mi si leggeva in volto al primo istante. Fui indirizzato da un primario presso una casa di cura sui colli bolognesi. Fu lì che ebbi il primo ricovero. Fu un trattamento sanitario obbligatorio alla fine del quale ero venti chili più grasso; anche il mio modo di pensare era diverso, ormai ero un paziente psichiatrico e allora non c’erano i mezzi che ci sono oggi, era la fine degli anni ottanta. Cominciai un lungo percorso di psicoanalisi e tutte le settimane tornavo a Bologna; il sabato il mio appuntamento era fisso a vedere di sbrogliare il nodo che mi aveva fatto sbandare così tanto. Sentivo che quei cinquanta minuti mi erano utili, ne avevo un giovamento e mi davano la forza per affrontare la settimana. I medicinali erano fastidiosi, per lo più neurolettici, con effetti collaterali che mi colpivano i nervi e mi creavano una tensione al limite della sopportazione; specialmente agli arti. Presto la casa di cura “ai colli” divenne un punto di riferimento. Quando le cose in famiglia diventavano critiche era li che mi rifugiavo. Avevo stretto amicizia con il primario che in via tutta eccezionale era anche il mio psicanalista, quando cercavo rifugio per me c’era sempre posto. Era un bell’ambiente si mangiava bene e quando poteva mi riservava la stanza migliore, quella singola con un ampio terrazzo. Almeno durante i ricoveri mi si proibiva di fumare, intendo canne, però poi mi si concedeva il permesso di fare lunghe passeggiate e di andare al bar o ovunque volessi. Per circa dieci anni questa fu la mia vita fin quanto durò la psicoanalisi, finche non stetti abbastanza bene per affrontare un lavoro, fu allora che il dottor B mi indirizzò ai servizi di Modena.

Giuliano

Gita a Chianciano

Volevamo rendere partecipi tutti coloro che ci seguono sul blog di una gita “fuoriporta” a cui abbiamo partecipato: un’iniziativa sportiva con un’importante valenza socializzante e d’integrazione.

Lasciamo che siano i nostri ospiti che hanno aderito all’iniziativa a raccontarla…

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Stefano:

A Chianciano  mi sono divertito molto. Abbiamo fatto molte partite sia  a pallavolo che  a calcetto. Ci siamo classificati al  primo posto a calcetto  e secondi  a pallavolo.

Eravamo in  un albergo  e mangiavamo  molto bene.IMG_0298 Ci alzavamo alle ore otto, facevamo colazione  e poi andavamo al campo all’incirca alle ore 10.30.

Il  torneo di calcio  era articolato  su 2 gironi  di 4 squadre  ciascuno. Le prime due squadre dei 2 gironi erano ammesse alla finale. Noi ci siamo classificati primi nel girone  e abbiamo vinto la finale contro la squadra di Sondrio. Invece a pallavolo ci  siamo classificati secondi perché abbiamo perso  la finale sempre contro Sondrio.

Abbiamo  avuto la fortuna di avere preso 3 giornate  di sole.

Renzo:

IMG_0285Il torneo organizzato su diverse squadre ci ha dato l’opportunità di conoscere anche diverse persone. A mio avviso è stato molto duro, soprattutto per gli orari mattutini. I giocatori erano combattivi e desiderosi di vincere. Ritengo che la posizione da noi occupata alla fine del torneo ce la siamo veramente meritata: ci siamo organizzati durante il gioco e abbiamo sfruttato i minuti di time-out concessi dall’arbitro.

Nell’albergo il mangiare era molto buono, le stanze erano ordinate, l’ambiente era molto bello e le persone si sono comportate bene.

L’esperienza acquisita durante questi giorni mi ha fatto capire che è bello partecipare ed essere sportivi, però tutti cercano di vincere.

Abbiamo fatto molte foto anche con la coppa in mano e la premiazione è stata effettuata dall’assessore del Comune di Chianciano Terme che ha gradito molto la nostra presenza.IMG_0304

Dovrebbe più avanti uscire anche un articolo sul giornale ‘Il Resto del Carlino’, però non sappiamo il giorno preciso.